Now playing: Alesis - Mk.gee
Ciao giovane padawan,
potente scorre la Forza in te?
Ti è mancata un po’ la Leletter la scorsa settimana? O non te ne sei neanche accorto/a?
Un paio di settimane fa sono stato a Berlino, non ci tornavo dal 1998. In breve, non mi sembrava neanche la stessa città. Ha subito trasformazioni radicali negli ultimi 30 anni, perché, dopo la caduta del muro, molte aree andavano sistemate, riconnesse, oppure, semplicemente, riempite con qualche nuovo, bellissimo edificio.
Per dirti, quando per la prima volta ho messo piede nell’antica capitale prussiana Potsdamer Platz era un grosso cantiere, con plastici alla Bruno Vespa che illustravano quale sarebbe stato il risultato finale. Oggi è una piazza modernissima, piena di palazzi contemporanei, orgogliosi e fieri, costruiti dalle più famose archistar, con al centro la copia del primo semaforo della città (?).
Berlino è una città dal passato recente tormentato che, anche per questo, ha deciso di orientarsi con decisione verso il futuro, senza tornare indietro neanche per prendere la rincorsa (cit. Andrea Pazienza). Ma non è tanto questo il punto, trovo più interessante la riflessione che ne è scaturita: quanto cambiano i posti a distanza di anni? Quanto cambiamo noi quando li visitiamo di nuovo? Nel caso di Berlino è piuttosto evidente, ma credo siano domande da porsi sempre. Spesso la gente dice: non voglio tornare a Londra, Parigi, Roccacannuccia, ci sono già stato/a. Ma che significa? Magari ci hai passato 3 giorni 10 anni fa, non pensi che quel posto non sia più lo stesso e, quasi sicuramente, pure tu? E non è bello ritrovare un luogo che mantiene la sua essenza ma si è evoluto, è maturato, attraversa una crisi o un bel momento, proprio come te?
Va bene, bando alle filosofie, here we go!
L’argomento della settimana: Trump ha vinto anche grazie ai content creator?
News, social e content creator - E insomma, nel marasma seguito alla vittoria di Trump, pian piano stanno iniziando ad emergere analisi un po’ più raffinate e precise.
Sì perché la prima reazione di alcuni quotidiani e siti di approfondimento è stata la stessa di sempre: “era ovvio”, “lo sapevamo tutti”, “come poteva NOMEDELPERDENTE solo pensare di vincere?” Peccato che, prima degli scrutini, nessuno si fosse sbilanciato, ma, a risultato acquisito, era tutto evidente da tempo, per la serie “ti piace vincere facile” (e bonciboncibonbonbon).
Una prima considerazione: le persone, quando decidono di informarsi, hanno accesso a molte più alternative rispetto al passato. E fin qui, tu dirai, meriti il premio GAC, ma fammi finire.
Se negli anni ‘90 - inizio 2000, i forum, i blog, i siti di news rappresentavano le fonti principali, successivamente hanno perso importanza in favore dei social media, decisamente più pervasivi e capillari. Ma i social hanno mutato forma nel corso del tempo. Da piattaforme che ti hanno fatto rincontrare il tuo amore delle medie o il compagno dell’asilo con cui ti picchiavi bonariamente ogni giorno, sono diventati aggregatori di contenuti realizzati ad hoc in base agli interessi di ciascuno di noi.
I testi hanno lasciato sempre più spazio a video e audio, da cui l’ascesa dei podcast e dei reel/video brevi, e di coloro che questi contenuti li realizzavano: i podcaster e i content creator. TikTok ha stabilito degli standard, Youtube ha rafforzato la sua egemonia nel campo dei video medio-lunghi e dei video podcast e Spotify è diventata la regina degli audio podcast.
Numerosi evidenze indicano come sempre più persone si informino grazie a content creator, podcaster e influencer presenti sulle varie piattaforme che continuiamo a chiamare social, ma che di fatto sono solo app che propongono milioni di contenuti video e audio in base ai nostri gusti. Questo fenomeno, guarda un po’, vale anche e soprattutto per le notizie e gli approfondimenti politici, questione che genera una certa apprensione da parte delle testate online.
Il tour nei podcast d’America di Trump e Harris - Per la prima volta nella storia, entrambi i candidati alla Presidenza degli Stati Uniti hanno deciso di fare un giro di interviste nei podcast, non più visti come mezzi marginali, ma al contrario, considerati strategici nella costruzione del consenso. Le tipologie di podcast scelte sono state molto diverse, così come l’audience raggiunta.
Donald Trump ha partecipato, ad esempio, al più seguito video podcast del mondo, quello di Joe Rogan; la sua intervista, su Youtube, vanta la “modesta” cifra di 50 milioni di visualizzazioni (mentre in totale, su tutte le piattaforme, si stimano circa 145 milioni di ascolti/visualizzazioni), mentre la seconda più riprodotta, quella con Theo Von, è stata vista e ascoltata 15 milioni di volte. Le interviste più seguite di Kamala Harris, nei podcast “Call her daddy” e “Breakfast club”, hanno raggiunto numeri di gran lunga più modesti, rispettivamente 890.000 e 580.000 visualizzazioni.
In tutto si stima, è difficile avere dati precisi, che Trump abbia avuto un numero di riproduzioni 25 volte superiori a quelle di Kamala Harris, raggiungendo la stratosferica cifra di quasi 300 milioni contro i 12 della sua avversaria.
Scelte differenti, risultati differenti - Anche la tipologia di podcast scelta è stata molto diversa. Quelli a cui ha partecipato Trump sono molto seguiti, rivolti a un pubblico di bianchi, per lo più uomini, tendenzialmente conservatori. In alcuni casi, come in quello del Joe Rogan Experience, anche associati alla cosiddetta “manosphere”, quell’insieme di contenuti online contenenti messaggi misogini e maschilisti.
Quelli a cui ha partecipato Harris, invece, pur essendo lo stesso molto apprezzati (in particolare Call her daddy, secondo podcast più ascoltato del mondo), sono indirizzati a un pubblico con sensibilità maggiormente progressiste e femministe.
I podcast a cui ha partecipato Trump, poi, sono generalmente di tipo “long form”, hanno cioè una durata lunga (la chiacchierata con Joe Rogan è durata 2 ore e mezza) e gli argomenti di cui si discute non sono solo politici, ma anche personali, il che aiuta a mettere a fuoco la persona che c’è dietro il leader di partito.
Harris, di contro, sembra aver dovuto rispondere alla strategia di Trump, partecipando però a podcast dal formato più breve, riproponendo un po’ il format delle interviste televisive in versione leggermente più estesa.
Stando a quanto riportato da diversi siti, Donald Trump ha avuto un consulente d’eccezione nella scelta dei podcast a cui partecipare, ovvero il figlio diciottenne Barron (ma che nome è?), che gli ha consigliato di farsi ospitare da alcuni dei podcaster e content creator (tra cui lo streamer Adin Ross, il comico Andrew Schultz e l’ex wrestler Logan Paul) più seguiti dai giovani uomini statunitensi, proprio per andare a intercettare quella fascia di elettori specifica, ma decisamente rilevante, in gergo denominata “bro vote”.
Si sono levate critiche interne al Partito Democratico, per esempio da parte dell’imprenditore Andrew Yang, riguardo alla scelta della Vicepresidente di non andare da Rogan, perché poteva essere una buona idea cercare di guadagnare voti tra gli utenti tendenzialmente repubblicani di questo podcast. In altre parole, Yang ha ripetuto un adagio tipico newyorkese, ovvero “se se la sonamo e cantamo sempre tra di noi, quando vincemo?”, considerazione che all’elettorato progressista italiano forse non giunge nuovissima. C’è da dire che quando Bernie Sanders fece un passaggio da Joe Rogan durante le primarie del 2020, ricevendone l’endorsement, fu criticato aspramente dagli stessi democratici, per aver partecipato a una trasmissione “di destra”.
Considerazioni finali - Questa breve e imperfetta analisi non vuole e non può spiegare la vittoria di Trump, ma può contribuire a comprendere come l’ex e il futuro Presidente degli USA abbia saputo meglio interpretare il fenomeno dell’estrema frammentazione dell’opinione pubblica. Oggi, per raggiungere tutti i potenziali elettori, non basta più organizzare comizi e parlare in televisione, è necessario raggiungere le nicchie elettorali, le community più piccole ma estremamente fidelizzate, come quelle che seguono più importanti podcast nazionali.
Quando vedremo Schlein e Meloni a Tintoria intervistate da Rapone e Tinti?
The substance - Coralie Fargeat
Sono andato al cinema incuriosito dal clamore suscitato da questo film, perché secondo alcuni giornali è così terrorizzante che alcuni spettatori hanno lasciato la sala, sconvolti. La trama è interessante: un’ex star di Hollywood, interpretata da Demi Moore, da anni confinata in un programma di fitness televisivo, viene allontanata perché troppo in là con l’età.
Sconfortata, viene a conoscenza di una sostanza che consente di creare una versione più giovane, più bella e in generale migliore di sé. Questo alter ego può vivere per una settimana, mentre l’originale entra in una sorta di letargo, per poi riprendere il suo posto per altri 7 giorni e così via. Ogni trasgressione a questo rigido protocollo comporta, tuttavia, delle serie conseguenze alla versione originale.
Una trama che, grazie a uno spunto fantascientifico, apre molte riflessioni sull’identità personale e collettiva, su una società in cui le persone vivono per apparire, sull’importanza dell’accettazione di sé, etc. Ecco, senza fare spoiler, nella seconda parte del film le riflessioni etiche e filosofiche lasciano il passo a un b-movie splatter, che forse vuole ancora avere dei significati profondi ma un po’ confusi, in un’atmosfera che vuole essere raccapricciante ma che diventa grottesca, un po’ come quando, a 14 anni, guardavo i sequel di Nightmare su un televisore a 14”, giusto per farmi quattro risate. Ho provato la stessa sensazione di quando ho visto “Dal tramonto all’alba” di Rodriguez: una bellissima idea che sfuma in un “pezzo di materia organica anfibia” (cit.).
Se hai perso l’ultimo numero della Leletter puoi recuperarlo qui, ho parlato un po’ dei motivi per cui i giornali statunitensi sempre di meno fanno pubblici endorsement ai candidati.
Ascolta la playlist della Leletter!
Mi chiamo Emanuele Salè, lavoro nella comunicazione da tanti anni (cit. Stefano Nazzi), sono un imprenditore e un imperatore romano fuori tempo massimo, in questa newsletter scrivo di comunicazione, marketing, pubblicità, ma anche di libri, dischi, serie, cinema e di tutto quello che mi colpisce.
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Ad maiora