Now playing: Piramide - Post nebbia
Ciao giovane padawan,
potente scorre la Forza in te?
Sabato era una serata buia e tempestosa. Il tuo affezionato maestro Jedi si aggirava per le vie di Siena, dove era stato trasportato a sorpresa dal suo vecchio amico Bradipo. Faceva freddo, pioveva che Giove Pluvio la mandava, i nostri arrancavano sui viottoli scivolosi dell’antica città toscana, riscaldati dalle bottiglie di Chianti classico e da una cena consumata in un ristorante speciale.
Sì, per festeggiare il mio ultimo compleanno (sono di aprile), è stato organizzato un viaggio a sorpresa, veramente molto gradito, a Siena, città che adoro anche se, colpevolmente, in precedenza ci ero stato solo un’altra volta.
È un posto bello e strano, percorrendone i vicoli ti sembra di essere finito in un’altra epoca, in stile “Non ci resta che piangere”.
È una città che un tempo ambiva a essere più grande, più splendente e più potente, ma che è stata fermata nella sua ascesa da una rivale più scaltra e più forte: Firenze. E tuttavia è decisamente bella così, nel suo essere un piccolo fiore colorato e mozzafiato, se fosse più grande non avrebbe lo stesso fascino.
Dato che il sottoscritto, come dicevano i vecchi, è “debole di petto”, quella passeggiata all’uscita del ristorante sotto all’acqua, nonostante la giacca impermeabile e il cappuccio, mi ha fatto venire il mal di gola, la tosse e un po’ di acciacchi vari. In queste occasioni la mia voce assume un tono che la mia vecchia responsabile definiva, con eleganza, “un’ottava sotto al rutto”. Ora, mezzo malato, mentre lavoro, rifletto o leggo, mugugno, ossia emetto questo suono gutturale, ancestrale, che pare un po’ uno strumento di antichi pastori, poi canticchio a bassissima voce qualche canzone di Barry White.
E sorrido, mi diverto, perché, in fondo, sono un po’ picchiatello e mi basta poco per essere felice.
Dicembre, è tempo di classifiche - È arrivato QUEL periodo dell’anno. Non parlo di Natale, anche se, in effetti, ormai Mariah Carey è tornata tra noi e stiamo per rifesteggiare il compleanno più famoso della storia. Parlo del periodo delle classifiche e dei “best of” di fine anno, fenomeno talmente fuori controllo che persino la mia app per fare la lista della spesa mi ha proposto anche la top 3 dei prodotti che ho comprato di più durante l’anno con possibilità di condividerla sui social. Un’occasione imperdibile.
Mi sono chiesto il perché, a fine anno, le persone sentano il bisogno di fare e di consultare le classifiche di libri, dischi, film, serie, cose varie.
Le risposte sono tante, si va dal desiderio di celebrare le cose belle di un anno che sta finendo, alla FOMO, la paura di essersi perso qualcosa di rilevante per gli altri, al desiderio narcisista di essere ammirati per i propri gusti, fino a banali ragioni di marketing, dato che, a dicembre, per il compleanno di cui parlavamo poco fa, gli acquisti di prodotti lievitano. In particolare, due di queste classifiche, molto diverse tra loro ma entrambe significative a livello comunicativo, hanno attratto la mia attenzione.
Sì, adesso te ne parlo.
Cervelli marci - La prima non è, in realtà una classifica, o meglio, è il vertice di una classifica, la posizione più alta. Sto naturalmente parlando della parola dell’anno per l’Oxford dictionary, che, in realtà, è una locuzione formata da due parole: “brain rot”. Significa, più o meno, “marciume cerebrale” (bello, no?) e la stessa Oxford University Press definisce “brain rot” come "Presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, specialmente considerato come risultato del consumo eccessivo di materiale (oggi in particolare contenuti online) ritenuto banale o poco stimolante.".
Ma perché è stata eletta parola dell’anno per il prestigioso dizionario britannico?
Nell’ultimo anno il suo utilizzo è cresciuto tantissimo online, ma è soprattutto il concetto a preoccupare e ad essere evidenziato grazie a questa scelta. L’espressione vuole, infatti, sottolineare i pericoli derivanti da un’elevata esposizione online, specie per le generazioni più giovani, Z e addirittura Alpha, che farebbe “marcire” loro il cervello.
È indiscutibilmente un’espressione efficace, particolarmente adatta a descrivere un rischio concreto a cui sono soggette le persone più giovani. È anche, bisogna sottolinearlo, una definizione perfetta per dare la possibilità alla vecchia guardia di stigmatizzare il mondo nuovo. Ovviamente non sono i più attempati ad averla coniata, ma appena l’hanno vista emergere l’hanno carpita e usata per fare quello che di solito i vecchi fanno con i giovani: criticarli ed esaltare la loro perduta età dell’oro, quella in cui era tutto bello, l’aria era pura, i campi erano in fiore e Magalli era ancora un giovane autore.
Una riflessione molto interessante in merito, declinata sul sociale, l’ho letta su “Ok boomer”, la newsletter settimanale di Michele Serra per “Il Post”, il quale scrive, tra le altre cose, che questo fenomeno del “brain rot” sarà molto più pervasivo tra i bambini e gli adolescenti poveri, che non cresceranno in un contesto culturalmente stimolante, mentre i figli dei benestanti ne subiranno gli effetti in misura di gran lunga inferiore. Interessante come abbia inquadrato la questione non tanto come un problema generazionale, quanto come un tema che ha a che fare con la dimensione socio-economica.
Il paradosso è che questa espressione non è affatto recente, è stata coniata nel 1854 dal filosofo Henry David Thoreau, che scrisse la seguente frase: “l’Inghilterra si sforza per curare la putrefazione della patate, ma nessuno si sforza di curare la putrefazione dei cervelli, che prevale in modo più vasto e fatale”. Praticamente denunciava il decadimento dell’intelligenza media, ovvero la stessa problematica che emerge anche oggi. Curioso, no?
Ti wrappo tutto/a - Ma cambiamo completamente tipo di classifica. Come ogni anno, a inizio dicembre è arrivato il Wrapped di Spotify, una sorta di riassunto dell’anno degli ascolti di ciascuno sulla popolare piattaforma di streaming audio. Come ogni anno, sono state create varie classifiche (brano più riprodotto, artista più ascoltato, podcast con cui sei andato in fissa) e varie possibilità di condivisione sui social.
Il wrapped, negli anni, è diventato un formidabile strumento di promozione per la piattaforma streaming svedese. La voglia di condividere le nostre statistiche e quell’insopprimibile spinta narcisistica che alberga in tutti noi ci incoraggiano a pubblicare la nostra classifica, oppure solo l’artista più ascoltato/a, magari taggandolo/la e vedendoci poi ricondivisa la storia dal nostro mito. E vai di iniezioni di dopamina!
Oltre a incensare Spotify, il cui logo, nei primi giorni di dicembre, è onnipresente sui principali social, il Wrapped è molto utile anche ai musicisti stessi, che possono farsi della pubblicità gratuita e magari vedere un’impennata delle vendite dell’ultimo album, o delle riproduzioni del loro pezzo più celebre.
Tutto vero, anche se quest’anno il Wrapped ha ricevuto più critiche del solito: l’azienda di Daniel Ek, CEO di Spotify, è stata accusata di scarsa cura nelle grafiche (veramente orribili) e di poca capacità di innovazione. Insomma, forse gli utenti si sono un po’ stancati di questo servizio che è molto simile a se stesso da circa 8 anni, pur con l’aggiunta di alcune migliorie nel corso degli anni.
Tuttavia, il fatto stesso che il Wrapped, anche nel 2024, sia stato oggetto di meme che ne riprendono la grafica e la contestualizzano in ambiti molto diversi da quello musicale è indice del suo successo. Ad esempio hai visto il Wrapped di questa brillante agenzia di comunicazione chiamata Nagency?
Conclusioni - Con l’esempio della parola dell’anno per l’Oxford dictionary abbiamo constatato come alcune classifiche e alcuni primati servano alla società per riflettere su se stessa.
Come siamo cambiati negli ultimi 12 mesi? Cosa abbiamo lasciato e cosa abbiamo trovato? Non è facile dare risposte semplici a domande così complesse, no? Ecco, le classifiche ci danno una mano a fotografare lo status quo: in questo momento siamo così, nell’ultimo anno ci siamo evoluti in questo dato modo. Come faccio a dirlo? Te lo dimostro con la parola dell’anno, con il tema più trattato dai giornali, con il dato più sorprendente.
Grazie al Wrapped, invece, abbiamo visto come le classifiche possono essere un potente strumento di marketing. Se ci pensi, dicembre è un mese di grandi vendite, per tutto ciò che è “regalabile” (nel senso che è difficile che tu possa trovare un sito web sotto l’albero), ma è anche un periodo in cui non è facile attirare l’attenzione dei consumatori, costantemente bombardati da qualunque genere di pubblicità. Le classifiche stimolano la curiosità e suggeriscono, ad acquirenti ritardatari e disperati, comode soluzioni per i regali di Natale.
Chi non sarebbe contento di ricevere uno dei libri più letti o dei dischi più ascoltati dell’anno?
PS - ti piacerebbe, a proposito di classifiche, se la prossima Leletter (l’ultima prima della pausa natalizia) fosse dedicata ai libri, film, articoli, serie, in generale alle cose più belle che ho letto, visto, ascoltato nell’ultimo anno?
Se hai perso l’ultimo numero della Leletter puoi recuperarlo qui, ho parlato dell’avvento dell’AI nella creatività pubblicitaria.
Ascolta la playlist della Leletter!
Mi chiamo Emanuele Salè, lavoro nella comunicazione da tanti anni (cit. Stefano Nazzi), sono un imprenditore e un imperatore romano fuori tempo massimo, in questa newsletter scrivo di comunicazione, marketing, pubblicità, ma anche di libri, dischi, serie, cinema e di tutto quello che mi colpisce.
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Ad maiora
Frittole...quasi 1500!