Now playing: Rami e tempesta - lecoseimportanti
Ciao giovane padawan,
potente scorre la Forza in te?
Uno-nove-nove-due. 1992. Questo anno così lontano nel tempo si è riaffacciato con una certa arroganza nella mia vita del 2024. Innanzitutto nella serie “Hanno ucciso l’uomo ragno” di Sydney Sibilia, deliziosa, che racconta l’ascesa degli 883 nel panorama musicale italiano fino alla consacrazione avvenuta, appunto, nel 1992. E poi ho comprato “Due”, il seguito di un libro che ho molto amato una trentina d’anni fa, un testo generazionale, che mica lo so se è ancora così conosciuto come lo fu all’epoca, “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” di Enrico Brizzi. E in che anno è ambientato? Esatto, nel ‘92.
Mi sembra sempre strano quando l’universo ti manda dei segnali, quando sembra proprio che qualcuno o qualcosa ti voglia sottoporre all’attenzione un momento, un ricordo, una data. Non è importante chi sia il mittente, forse quel qualcuno è il tuo te inconscio, forse è l’energia intensa dell’empireo, forse è solo un caso, ma che strano che è.
Eppure a me il ‘92 non ricordava nulla in particolare, poi ho provato a fare mente locale e ho cercato di ricordare chi fossi e cosa facessi. Ero un fresco quattordicenne, in transizione dalle scuole medie al liceo scientifico, mi pettinavo i capelli con la gelatina, quella che li incollava alla testa, con la riga da una parte e gli occhiali a goccia, forse con le lenti verde bottiglia.
Mi piaceva un sacco ascoltare la radio, soprattutto Deejay, Fiorello era il mio mito, ascoltavo Jovanotti e Luca Carboni, ovviamente con il walkman.
Sì, ma quindi? Cosa voleva comunicarmi l’universo? Numeri da giocare al lotto? Il PIN del cellulare della Presidente del Consiglio? L’ispirazione per il titolo di un romanzo? Non lo so, il problema con i messaggi criptati che arrivano dallo spazio profondo è che non sai mai come interpretarli, anche uno/a psicologo/a può farci poco. Non è che posso telefonare all’universo e chiedergli spiegazioni, a meno che 1992 non sia proprio questo: un numero da comporre.
Ora provo, ti tengo aggiornato giovane padawan!
Il tema della settimana: gli spot fatti con l’AI funzionano?
Poco dopo l’irruzione dell’intelligenza artificiale nelle nostre vite, nel campo della generazione di testi e immagini, ci si è iniziati a chiedere quando sarebbe stata applicabile anche per i video. Uno dei primi settori in cui si sono fatti degli esperimenti è stato l’advertising, forse anche per le grandi disponibilità economiche che da sempre lo sostengono.
I risultati del primo esperimento, un finto spot per una birra inesistente realizzato proprio per testare le potenzialità dell’AI, non sono stati proprio ottimali, a essere buoni.
Sembrava un po’ un incrocio tra il video di Black Hole Sun e un vecchio film di Cronenberg, in cui alcune persone, deformate e mezze fuse con le lattine di birra, si aggirano attorno a un barbecue da cui, a un certo punto, partono grandi fiammate, per poi ritrovarsi in un paesaggio desolato che sembra riecheggiare uno scenario del mondo di Ken Shiro. Sembra essere stato prodotto 10 anni fa, invece risale all’aprile 2023.
Da allora, nonostante i progressi costanti, in ambito pubblicitario l’unico caso notevole è stato quello di Toys “R” Us, una catena di negozi di giocattoli, che lo scorso giugno ha interamente realizzato un vero spot con l’AI, con risultati di gran lunga migliori dell’esperimento precedente. Fin qui, però, nessuna grande azienda aveva provato ad allungare la zampata per intestarsi la paternità del primo grande spot pubblicitario realizzato con l’intelligenza artificiale.
Il fatto e le polemiche - A sorpresa, è arrivata Coca-Cola, che ha prodotto i suoi spot natalizi, ben tre, utilizzando tecnologie di AI generativa.
Per realizzarli ha collaborato con tre studi all’avanguardia, Secret Level, Silverside AI e Wild Card, che hanno utilizzato i software di AI generativa per video più avanzati. Ma non è tutto, Coca-Cola ha anche deciso, forse con scarsa valutazione dell’impatto che questa scelta avrebbe comportato, di chiedere all’AI di ispirarsi a una sua celebre serie di spot degli anni ‘90, “Holidays are coming”.
La scelta del brand di Atlanta ha portato con sé, che strano, molte polemiche, che potremmo riassumere in tre macrocategorie principali:
la bruttezza degli spot, sia per il livello qualitativo dell’immagine che per la qualità delle animazioni;
la scarsa capacità d’innovazione, dato che l’idea di ispirarsi agli spot degli anni ‘90, oltre ad evidenziare un peggioramento qualitativo, rende le nuove pubblicità già datate;
il taglio delle risorse umane dedicate al progetto, possibile proprio grazie all’impiego dell’intelligenza artificiale, con gravi costi sociali.
Le ragioni della scelta - Secondo me in questo caso focalizzarsi sulla qualità dello spot è un falso problema: sappiamo che i principali modelli di intelligenza artificiale generativa di video realizzano prodotti con una qualità media ancora bassa, ma stanno velocemente migliorando. La questione da evidenziare è un’altra: una delle più importanti multinazionali del mondo, che ha sempre prodotto spot iconici, ha deciso di puntare sull’AI.
Non credo sia possibile che chi ha deciso di percorrere questa strada non conoscesse i limiti tecnici delle tecnologie attuali, ma ha voluto provare lo stesso. La domanda da porsi, un po’ come farebbe il tuo amato nipote di 3 anni, è: perché?
Difficile dare una risposta univoca, ma proviamo a mettere in fila un po’ di riflessioni.
Sicuramente c’è la voglia di sperimentare le nuove tecnologie in un progetto importante, ma, forse, ancor di più c’è il desiderio di mostrarsi all’avanguardia, una tentazione a cui, per quanto sia una tra le più grandi aziende del mondo, neanche Coca-Cola riesce a sottrarsi.
Con questa mossa, inoltre, Coca-Cola ha voluto iniziare a fare sul serio in un settore che, per quello che possiamo prevedere, diventerà sempre più rilevante nei prossimi anni nell’advertising e nella produzione di video.
Infine, sfruttando l’AI Coca-Cola ha potuto risparmiare decine, forse centinaia, di migliaia di euro in risorse umane, per quanto la collaborazione con i tre studi di cui parlavamo poc’anzi non sarà sicuramente stata economica. A detta di Jason Zada, fondatore di Secret Level, è ancora più significativo il risparmio in termini di tempo, poiché la realizzazione di uno spot è di circa cinque volte più veloce, secondo quanto da lui dichiarato.
No emozioni no party - Una delle regole fondamentali della pubblicità contemporanea è quella di legare un prodotto o un servizio ad una emozione, in modo da creare una connessione più forte di qualunque associazione razionale o necessità materiale. Da quanto si è visto finora, l’AI non riesce, per ora, a generare video che suscitino la benché minima emozione.
Certo, dirai tu, ma molto dipende dal prompt, da quello che si chiede di fare all’AI.
Sicuramente è vero che se chiedo a un software, come Sora o Runway, di generare un video di un uomo che schiocca le dita non ho dato l’input corretto per creare un contenuto emotivamente significativo. Però, da parte di questi software c’è proprio un problema nell’execution, ovvero nel processo di traduzione dell’idea in un contenuto tangibile. Di solito questo passaggio prevede una serie di attività: la stesura dello script, la regia, la fotografia, il settaggio delle luci, le riprese, il montaggio, la post produzione, etc. L’AI fa tutto da sola, in modo sempre migliore, anche se ci sono ancora sbavature, ma il problema principale è che il prodotto finale spesso non comunica molto dal punto di vista emotivo: è freddo.
Prendi, ad esempio, lo spot di cui parlavo prima, quello di Toys “R” Us: la storia è un racconto un po’ melenso sul sogno di un bambino, che poi diventerà il fondatore della catena, che immagina un mondo fatto da giocattoli. Per quanto non ami questo tipo di narrazioni forzatamente emozionali, l’obiettivo di colpire lo spettatore poteva essere raggiunto facilmente e invece la pubblicità, per quanto fosse ben realizzata dal punto di vista tecnico, non tocca nessuna corda emotiva, è asettica, fredda, glaciale direi.
Fin quando l’AI non sarà in grado di generare contenuti più coinvolgenti sul piano emotivo, gli spot realizzati potranno far risparmiare tempo e soldi ma non assolveranno alla loro funzione principale: aiutare a vendere di più.
Un concerto dei Cure, bellissimo e gratuito - Hai sentito che bello l’ultimo disco dei Cure? Per carità, niente di nuovo, sono sempre loro, in un senso molto rassicurante però. Hanno fatto un concertone in diretta streaming di 3 ore, a Londra, e ora è disponibile su Youtube, tutto, gratis. Trova un po’ di tempo per sentirlo e/o guardarlo, ne vale la pena, un concerto dei Cure è un’esperienza bellissima!
Correre per fare delle animazioni - Cioè, un tizio canadese ha fatto ogni giorno uno screenshot al tracciato del proprio percorso di running, così come appariva su Strava, nota app per appassionati di pulsazioni alte e sudore. Il picchiatello, perché altro non può essere, ha fatto in modo di percorrere ogni giorno un tragitto che visto dall’alto ricorda una sagoma umana, ogni giorno modificandolo leggermente. Il risultato?
Una sequenza di immagini che, animate, mostrano un uomo stilizzato che balla.
I-N-S-A-N-E!
Se hai perso l’ultimo numero della Leletter puoi recuperarlo qui, ho parlato della possibile guerra dei cavi sottomarini.
Ascolta la playlist della Leletter!
Mi chiamo Emanuele Salè, lavoro nella comunicazione da tanti anni (cit. Stefano Nazzi), sono un imprenditore e un imperatore romano fuori tempo massimo, in questa newsletter scrivo di comunicazione, marketing, pubblicità, ma anche di libri, dischi, serie, cinema e di tutto quello che mi colpisce.
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Ad maiora