Now playing: Collective dreamwish of upperclass elegance - Grandaddy
Ciao giovane padawan,
potente scorre la Forza in te?
Io ho appena letto un articolo sulle ragioni del successo di “All i want for Christmas is you” di Mariah Carey che quest’anno compie 30 anni (!) e ho realizzato che mancano meno di 2 mesi a Natale, mi dispiace dirtelo ma qualcuno doveva farlo.
Venerdì stavo cenando in una genuina trattoria intorno a piazza Re di Roma (se non sei di queste parti potresti stupirti per questo nome, ma non dovresti, noi amiamo celebrarci anche nella toponomastica) e scorrevo la carta dei vini. La proprietaria, che ci stava anche servendo al tavolo, mi fa notare che un dato vino è terminato. Io faccio un “ah” di cortesia, lei mi guarda e mi dice “Nun te preoccupa’, nun te sei perso niente”.
Ecco, signora, se per caso mi legge, io le vorrei dire che con quella battuta lei mi ha conquistato. Lei ha fatto un’operazione di marketing perfetta. Innanzitutto è stata sincera, autentica, non ha nascosto di aver fatto un errore o perlomeno ha ammesso che tra i suoi prodotti ce n’era qualcuno di meno valido, però ne ha preso atto, non lo ha riordinato al suo fornitore, mi ha subito indicato un’alternativa valida.
Mi ha sorriso, mentre mi diceva che non mi ero perso nulla, mi ha fatto capire che siamo ancora più umani quando ammettiamo le nostre debolezze, i nostri sbagli, le nostre fragilità. Spesso chi vuole vendere un prodotto o un servizio cerca di mostrarsi perfetto, ma non è la perfezione quella che genera empatia, anzi, sono le piccole cose fuori posto che ci fanno affezionare, che ci fanno sentire vicini.
E allora viva la proprietaria della trattoria che ammette di aver avuto in carta un vino che non era niente di che, lo ha provato, lo ha proposto, si è resa conto che non era un granché e, silenziosamente, lo ha eliminato, anche se ancora figurava nell’elenco.
O forse era soltanto momentaneamente indisponibile e io, come al solito, ho immaginato una storia che non c’è.
Il tema della settimana: lo sharenting, il lato oscuro dei social
Il fatto - Una ragazza di 21 anni è seduta davanti alla Camera dei Rappresentanti dello Utah. Con voce ferma racconta la sua esperienza di vittima del cosiddetto “sharenting”, la pratica di esporre costantemente l’immagine della propria prole sui social media, spesso a fini di lucro.
Il suo nome è Shari Franke ed è stata per anni, suo malgrado, protagonista di un canale youtube chiamato “8 passengers”, gestito dalla madre, Ruby Franke, condannata per abusi sui minori a 30 anni di carcere.
I minori in questione erano i suoi figli e le sue figlie, costretti a subire una serie di punizioni disumane, come dormire per mesi su un sacco di fagioli secchi, essere sottoposti/e a privazioni di cibo e di acqua, picchiati, feriti e tante altre mostruosità. Ma la giovane Shari Franke ha precisato subito di non testimoniare in qualità di vittima di una madre abusante, ma come vittima del family vlogging, quel fenomeno per cui una famiglia riprende ossessivamente la propria vita per postarla sui social, allo scopo di guadagnare denaro. Chiaramente ad avere questa volontà e a gestire il progetto sono i genitori, i figli non hanno alcuna voce in capitolo.
La denuncia - La ragazza ha cercato di far comprendere cosa significhi essere protagonista, suo malgrado, del family vlogging e dello sharenting. In sintesi: è brutto, molto brutto. Franke ha spiegato che non si tratta di un gioco, ma di un lavoro a tempo pieno in cui i dipendenti sono bambini.
Il requisito necessario per svolgere questo lavoro è la totale disponibilità a farsi riprendere condividendo pubblicamente i momenti brutti e i momenti belli, solo che questi “baby influencer” non hanno scelta. Ha anche spiegato che spesso i genitori ricompensano i figli, o pagandoli direttamente per compiere una determinata azione, tipo farsi riprendere in un momento di particolare emotività, oppure ricompensandoli con una vacanza. Tuttavia, come è intuibile, la maggior parte dei guadagni resta ai genitori.
Inoltre, cosa penseresti se, in qualunque altro contesto, qualcuno ti dicesse di voler far lavorare i propri figli e le proprie figlie minorenni? Questi/e bambini/e e adolescenti crescono con uno smartphone sempre addosso, che li riprende in ogni momento della loro vita, senza esclusione, spesso, di quelli più imbarazzanti o difficili, perché sono proprio quei video ad essere più visti, condivisi e commentati.
Gli effetti psicologici - Non so proprio immaginare gli effetti di questa vita distopica, non ne ho le competenze, per questo ho chiesto un parere a una psicologa e psicoterapeuta molto popolare online e offline, di cui ho il piacere di essere amico da tanti anni, la Dottoressa Annalisa Pellegrino, che ringrazio tanto.
Ecco cosa mi ha risposto.
“Un minore è un soggetto la cui identità non è del tutto formata, quindi essere costantemente esposto in pubblico può portarlo a una serie di conseguenze tra cui:
trovarsi in difficoltà nel gestire eventuali critiche che arrivino da chi vede quei contenuti;
crescere con un’idea di perfezionismo da ricercare, che può portare molta frustrazione nella gestione delle proprie imperfezioni (ad esempio fisiche);
sentirsi sfruttato per le esigenze narcisistiche dei genitori. Questo può rendere il rapporto più complicato, soprattutto nella fase adolescenziale in cui il/la ragazzo/a potrà arrivare ad odiare i genitori;
sentirsi adultizzato, cosa che, in genere, rende più complicato tenere conto dei propri bisogni in età adulta poiché ne risente il “Bambino interno”.
La rivolta dei baby influencer - I social media sono nati da relativamente poco tempo, una ventina di anni (pensa che Facebook ha dato la possibilità a tutti/e di iscriversi solo nel 2006), inizialmente utilizzati solo da early adopter, di solito giovani e/o nerd. Fenomeni come quello del family vlogging sono nati diversi anni dopo, per cui siamo soltanto all’inizio di quella che potremmo chiamare “la rivolta dei baby influencer”, ovvero la denuncia dello sfruttamento lavorativo minorile familiare. Potremmo trovarci, da qui a qualche anno, a commentare notizie simili a questa molto più spesso, anche in Italia.
Potremmo essere catapultati/e in qualche aula di tribunale ad assistere alle rivelazioni di figli e figlie sofferenti la cui vita è stata esposta alla pubblica opinione per molti, troppi anni, senza che questi/e avessero la possibilità di sottrarsi in nessun modo a un reality senza confini che assomiglia tanto, ma proprio tanto, al Truman show.
Altre notizie
Come avviene la transizione social tra un/una Presidente degli Stati Uniti e l’altro/a (speriamo “l’altra”)? Pensi che si scrivano le credenziali su whatsapp? Sarebbe bello ma la procedura è più complessa e l’ha creata Barack Obama. Ecco una spiegazione approfondita nella bella newsletter di Valentina Tonutti.
C’è un indirizzo in Islanda in cui vivono migliaia di persone provenienti da tutto il mondo. Com’è possibile? Non è possibile, infatti, ma a quel preciso indirizzo c’è la sede legale di una società che garantisce anonimato a chiunque faccia ricorso ai suoi servigi. Cercando di risalire ai proprietari dei siti “protetti” da Withheld for Privacy, questo il nome dell’azienda, si ottiene sempre lo stesso indirizzo: Kalkofnsvegur 2, Reykjavik. A sorpresa, nello stesso palazzo, c’è un museo molto particolare, l’Icelandic Phallological Museum. Sì, espone proprio quelle parti anatomiche a cui stai pensando.
Il Giubileo avrà una mascotte, a sorpresa un personaggio disegnato in stile manga, la cui presentazione ha suscitato reazioni contrastanti.
Se hai perso l’ultimo numero della Leletter puoi recuperarlo qui, ho parlato un po’ delle responsabilità etiche degli/delle influencer, a partire da una dichiarazione di Giulia Salemi.
Ascolta la playlist della Leletter!
Mi chiamo Emanuele Salè, lavoro nella comunicazione da tanti anni (cit. Stefano Nazzi), sono un imprenditore e un imperatore romano fuori tempo massimo, in questa newsletter scrivo di comunicazione, marketing, pubblicità, ma anche di libri, dischi, serie, cinema e di tutto quello che mi colpisce.
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Ad maiora